Con la locuzione “diritto all’oblio” che cosa si intende?
Come dice la parola stessa, il diritto all’oblio è il diritto ad essere dimenticati. Più precisamente va inteso come diritto ad evitare che la indefinita permanenza su Internet di dati e informazioni risalenti nel tempo determini una lesione di quei diritti che il Codice della privacy complessivamente protegge (in particolare, diritto all’identità personale, all’onore e alla reputazione).
Spetta a ciascun cittadino di cui i giornali, i telegiornali o qualsiasi altro media abbia parlato. Il diritto all’oblio nasce come diritto di chi abbia ricevuto una condanna a non veder più pubblicato il proprio nome dopo che la notizia non sia più di pubblico interesse. Questo perché i presupposti per la liceità della stampa sono, per consolidata giurisprudenza: la verità della notizia; la sussistenza di un pubblico interesse per la notizia e l’attualità della notizia. Una notizia vera ma non più attuale non può quindi essere ripubblicata su un giornale.
Perché esercitare il diritto all’oblio?
Se il contenuto datato lede ingiustamente l’immagine della persona, si parla di tutela del diritto all’oblio, ovvero della possibilità di rimuovere l’associazione del proprio nome dal contenuto divenuto inadeguato e pregiudizievole.
Qual è il fondamento normativo del diritto all’oblio?
Il diritto all’oblio è quindi la naturale conseguenza di una corretta e logica applicazione dei principi generali del diritto di cronaca.
Il diritto all’oblio non è ancora stato espressamente tutelato dalla legge italiana, trattandosi di un diritto che si colloca nel quadro dei diritti della personalità come particolare forma di garanzia connaturata al diritto alla riservatezza e che si distingue dal diritto all’identità personale.
Pur nel silenzio della legge, è possibile rinvenirne il fondamento normativo nell’art. 27, comma 3, Cost. che stabilisce il principio della funzione rieducativa della pena: ebbene, la pena non potrebbe assolvere alla funzione di restituire il condannato alla società civile se in quest’ultima rimanesse ben saldo il ricordo di quanto quel condannato ha fatto, rafforzato proprio dalla riproposizione sul web dello stesso fatto.
Peraltro, in disparte le notizie riguardanti rei, il Codice della Privacy prevede che il trattamento non sia legittimo qualora i dati siano conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo superiore a quello necessario agli scopi per i quali sono stati raccolti o trattati (art. 11 d.lgs. n. 196/2003). Lo stesso interessato ha il diritto di conoscere in ogni momento chi possiede i suoi dati personali e come li adopera, nonché di opporsi al trattamento dei medesimi, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta, ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l’aggiornamento, l’integrazione (art. 7 d.lgs. n. 196/2003).
Ora, se per la carta stampata il problema si pone raramente, non è così su Internet dove le notizie restano pubblicate tendenzialmente in perpetuo. Ciò rischia di trasformare il web in una gogna elettronica a vita. Un altro problema è rappresentato dal fatto che se le notizie fossero conservate solamente all’interno dei rispettivi siti delle testate, continuerebbero ad essere disponibili solamente mediante una ricerca mirata all’interno della pagina stessa, ma l’avvento dei motori di ricerca ha consentito di rendere le notizie di pubblico dominio semplicemente svolgendo una ricerca con il nome del soggetto interessato. Per questo, il diritto all’oblio è stato anche definito come il diritto a non restare indeterminatamente esposti ai danni ulteriori che arreca al proprio onore e alla propria reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata.
Come si può ottenere la cancellazione dei propri dati dai risultati di Google e da Internet?
Sicuramente il metodo più semplice e risolutivo è inviare una diffida al titolare dei contenuti, ossia il giornale web. A tal fine è sempre meglio avvalersi della consulenza di uno studio legale specializzato.
Secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione in una sentenza del 2012, il titolare del contenuto può operare in uno dei seguenti modi: rimuovere la pagina; eliminare i tag che ne consentono l’indicizzazione; rimuovere il nome del soggetto citato (coi relativi tag). La Corte dell’UE ha poi ritenuto che “il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento da esso effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi” ed ha legittimato i cittadini europei a richiedere a tali gestori la rimozione delle informazioni pubblicate che li riguardano che siano “inadeguate, non pertinenti o non più pertinenti, ovvero eccessive in rapporto alle finalità del trattamento in questione realizzato dal gestore del motore di ricerca”.
In tali casi, il gestore è, quindi, obbligato ad eliminare dall’elenco dei risultati i collegamenti verso pagine web pubblicate da siti terzi e contenenti informazioni relative alla persona interessata. In mancanza di adempimento da parte del titolare dei contenuti, si può ricorrere al procedimento civile in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c.
Un secondo metodo è quello del ricorso al Garante della Privacy.
Peraltro, nel 2014 la Corte di Giustizia ha dichiarato Google co-responsabile in quanto, trattando i dati degli utenti (indicizzando i relativi nomi presenti sulle pagine web), ne deve anche rispondere, così che le pagine vanno eliminate dai risultati delle ricerche.
Google ha di recente fatto sapere che, in caso di richiesta di cancellazione, provvederà non solo sul proprio dominio .it, .fr. ecc., ma di voler cancellare i link non più pertinenti da tutte le proprie pagine, e quindi non solo da quelle delle varie versioni europee. Dunque, la rimozione riguarderà anche google.com. Pertanto, nel caso di una richiesta ad esempio proveniente dall’Italia, Google rimuoverà i link dai suoi domini europei e anche da tutti gli altri domini accessibili dall’Italia come google.com.
Quali sono, allora, le tutele sono esperibili?
Se un utente chiede ad un motore web come Google di essere rimosso dalle pagine che appaiono fra i risultati di ricerca, la disciplina sul diritto all’oblio, come detto di creazione pretoria, impone alla web company di sopprimere il link: diversamente, ci si può rivolgere al Garante Privacy oppure all’autorità giudiziaria.
Ciascun cittadino può chiedere, esercitando il predetto diritto all’oblio, inoltre il risarcimento del danno per l’illecito trattamento dei dati personali: alla base del riconoscimento del risarcimento del danno viene ravvisato il mantenimento del diretto ed agevole accesso a quel risalente servizio giornalistico pubblicato diverso tempo addietro e della sua diffusione sul web con conseguente pregiudizio per i soggetti coinvolti.
Consapevole della delicatezza dei diritti e degli interessi coinvolti, lo “Studio legale Melorio” fornisce idonea assistenza giudiziale e stragiudiziale a tutti coloro i quali abbiano interesse alla rimozione dal web di dati, notizie e/o informazioni che li riguardano. In particolare, lo studio fornisce assistenza per la tutela del diritto all’oblio nei confronti di: siti di testate giornalistiche, altri siti (blog, testate non registrate, forum, etc..), motori di ricerca (in particolare, Google) e si rende disponibile alla predisposizione e redazione di una diffida al titolare dei contenuti e dei motori di ricerca, di fatto depositari, ciascuno per la parte di propria competenza, di un ruolo attivo relativamente alla de-indicizzazione e cancellazione dei dati. In caso d’inadempimento da parte del titolare dei contenuti, lo “Studio legale Melorio” provvede all’instaurazione del procedimento civile in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c. ovvero alla predisposizione del ricorso al Garante della Privacy le cui misure sanzionatorie rappresentano una valida alternativa alla giustizia ordinaria.
Lo “Studio Legale Melorio” , ove possibile, provvede all’anticipo di tutte le spese vive e non richiede alcun anticipo sul compenso dell’attività professionale.
Lo “Studio Legale Melorio” si rende disponibile al “gratuito patrocinio”, garantendo il diritto di difesa e ponendo l’onorario a carico dello Stato, nei casi di persone che non abbiano mezzi adeguati, o si trovino in condizioni economiche precarie, o, infine, non possano provvedere in maniera autonoma al pagamento delle spese giudiziali.